La verità sulla scia: cronaca di una battaglia eterna tra fatica, furbizia e allenamento vero
Ho perso il conto degli atleti che ho allenato nella mia vita, non è solo questione di numeri ma di tempo, esperienze, generazioni che si sono succedute una dopo l’altra lasciando ognuna il proprio segno. Ma c’è una dinamica, un rituale oserei dire, che a quanto pare non muore mai, qualcosa che si tramanda di vasca in vasca come un virus eterno: la scia.
Sì, sto parlando proprio di quel vezzo tutto acquatico che trasforma ogni corsia in un binario con tanti vagoni, il trenino insomma, con un atleta a fare da locomotiva e gli altri comodamente in coda a risparmiare energie. Per chi non bazzica il bordo vasca sembrerà una cosa da nulla, forse addirittura una strategia intelligente. Per chi invece, come me, ha passato anni con i piedi grattati da qualcuno che cercava di fare meno fatica, è come la peste, e oggi voglio raccontarvela per bene, senza filtri.
Gli esordi e il punto di vista dell’atleta:
Ho cominciato a fare l’allenatore molto presto, avevo solo 19 anni. Giovane, inesperto certo, ma con una cosa ben chiara: sapevo cosa significasse faticare. Ero ancora un atleta, e la piscina la conoscevo tanto da dentro quanto da fuori, quel doppio punto di vista mi ha aiutato tantissimo ma anche esasperato.
Già allora odiavo chi si incollava ai miei piedi, sia nel nuoto che nella pallanuoto i furbetti non mancavano mai, quelli che sembrano dei pesci Remora sempre pronti a incollarsi al corpo dello squalo per lasciarsi trasportare, quelli che invece di prendere il proprio spazio e lasciarlo a chi hanno davanti si piazzano lì, a pochi centimetri dal compagno nella speranza che la fatica venga dimezzata.
E in parte è così, ma il punto è: a che pro?
Scia: strategia o parassitismo?
C’è una corrente di pensiero, sbagliatissima, secondo cui stare in scia stimoli a nuotare più forte perché si viene trainati dal ritmo del primo, ma è una mezza verità. Il traino in effetti esiste, si crea un piccolo risucchio che permette al corpo dietro di scivolare un po’ più facilmente, la scia appunto, ma questo vantaggio ha un costo nascosto: il lavoro non è tuo.
Non è il tuo corpo che sta combattendo contro la resistenza dell’acqua, non sei tu che stai affinando la tua tecnica e quindi vai più veloce, non sei tu a plasmare la tua prestazione, stai solo beneficiando dell’impegno di qualcun altro. E questo, mi dispiace dirlo, non è allenamento, è opportunismo.
La scia è una stampella, e va bene se sei in gara, se devi sfruttarla per una strategia di sorpasso, se la stai usando consapevolmente per un obiettivo preciso, ma in allenamento? No ragazzi, in allenamento è una truffa, un furto di fatica, una scorciatoia che porta lontano dalla crescita e che al momento opportuno ti presenta il conto, in gara quando davanti non hai nessuno a trainarti e all’ultima vasca muori!
La realtà del bordo vasca:
Da allenatore, nel tempo, ho imparato a riconoscere quelli che ci provano, quelli che lasciano mezzo secondo di distacco tra una partenza e l’altra, quelli che sperano di approfittarne. Ma ho anche imparato a riconoscere gli altri, quelli che fanno il lavoro duro, quelli che anche se il compagno davanti rallenta non si attaccano ai piedi ma lasciano lo spazio che serve, si distanziano, e se ripetutamente raggiungono chi c’è davanti alla fine passano avanti e si allenano davvero.
Perché c’è un punto che tutti dovrebbero fissarsi bene in testa: chi si allena in scia, non sta lavorando davvero, sta risparmiando, sta fingendo, e alla lunga questa cosa si paga. Perché chi tira, chi guida il trenino, accumula metri di reale miglioramento, gli altri stanno solo nuotando a rimorchio.
Lo dico anche con un certo fastidio, perché ho visto atleti promettenti rovinarsi da soli per questo motivo, troppo comodi, troppo furbi. Ma il nuoto non perdona, il corpo nemmeno, e quando arriva il momento della verità, quando c’è da mettere in vasca la prestazione, la verità viene fuori: chi ha lavorato emerge, gli altri annaspano appunto all’ultima vasca se non prima.
Allenarsi davvero vuol dire faticare:
Il problema è che oggi molti giovani (ma anche molti dei più grandi) hanno un rapporto strano con la fatica, la evitano come fosse un virus, cercano la scorciatoia, il metodo “smart”, l’escamotage. Ma l’allenamento, quello vero, è fatica, è disagio, è uscire dalla zona di comfort, è mettersi in discussione ogni giorno.
E la scia non ti mette in discussione, la scia ti illude di andare forte quando in realtà non stai andando da nessuna parte, perché non stai spingendo con le tue braccia, stai solo sopravvivendo nel flusso creato da qualcun altro. È come copiare il compito in classe: magari prendi il voto buono ma non hai imparato un bel niente ovvero non ti sei allenato.
Allenatori: serve coraggio, anche per scomporre il gruppo.
Una volta un atleta mi disse: “Ma se siamo in scia, perché non dovremmo sfruttarla?”, gli risposi: “Perché tu ti stai allenando per diventare migliore, non per diventare bravo a stare in scia”, e questa frase, semplice ma brutale racchiude il cuore del problema, ci si allena per migliorarsi, almeno così dovrebbe essere per chi si ritiene un atleta agonista.
Come allenatori, abbiamo anche la responsabilità di educare, a volte vuol dire scomporre i gruppi, dividere gli atleti anche se si lamentano, vuol dire insegnare il valore della prestazione individuale all’interno del gruppo. Vuol dire spiegare che l’acqua è una maestra severa ma giusta, restituisce quello che le dai, se le dai poco ti darà poco e chi semina “m**da” non raccoglie cioccolata.
Un messaggio chiaro per tutti gli atleti (e anche per i genitori).
Ai ragazzi che nuotano oggi voglio dire: fate le cose sul serio, non cercate scuse, non cercate scorciatoie. Allenatevi davvero, siate coraggiosi e faticate anche e sopratutto quando sembra inutile o impossibile, e fatevene una ragione: il progresso si conquista a bracciate, non si ruba sui piedi degli altri.
Ai genitori che a volte chiedono “perché mio figlio non migliora?”, la risposta è questa: perché a volte, anche senza accorgersene, si è allenato a metà, la scia come le altre problematiche generali non sono solo un fatto tecnico, è sbagliato l’approccio. E se l’approccio è quello di evitare la fatica, il risultato sarà sempre sotto le aspettative.
In conclusione:
La prossima volta che vedrete qualcuno incollato ai vostri piedi o del compagno, ricordategli che non si sta allenando, sta solo perdendo un’occasione, e ogni allenamento sprecato è un giorno in meno per diventare quello che si vuole essere.
La scia non è allenamento, è solo un modo per illudersi di nuotare più veloce, ma il corpo lo sa, la mente lo sa, e alla fine anche il cronometro lo saprà.
Fate il vostro, fatelo bene, fatelo da soli, e poi godetevi il miglioramento, quello vero.