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ZIDI – SONO SOLO UNA BAMBINA

Ai Mondiali di Singapore si è consumata, sotto gli occhi compiaciuti del mondo, una pagina che per me sa più di inquietudine che di meraviglia. Si chiama Zidi, Yu di cognome, ha soltanto dodici anni, e ha nuotato una finale mondiale nei 200 misti con il quarto tempo al mondo, ha anche preso il bronzo con la staffetta 4×200, evito di elencare i tempi e le modalità perché sono schifato dall’esaltazione popolare che c’è intorno a questa bambina.

Dodici anni.

A guardarla in acqua, per la costruzione muscolare, la potenza, la solidità dei gesti, tutto sembra tranne che una bambina, ma lo è, e io non riesco a stupirmi, né a gioire come fanno in tanti davanti a prestazioni del genere.

Perché il talento, anche quando esplode in modo così precoce, non è mai una scusa sufficiente per stravolgere l’ordine naturale delle cose.

C’è un tempo per ogni cosa.

Un tempo per crescere, per sbagliare, per giocare, per imparare a conoscere sé stessi, e anche, eventualmente, per diventare campioni. In questo caso, invece, l’età anagrafica è stata calpestata in nome del risultato. E con essa, penso quasi con certezza, anche l’infanzia.

Zidi ha raggiunto livelli cronometrico-fisiologici che appartengono all’élite mondiale. Ma dietro quei tempi stellari, c’è un carico di lavoro mostruoso, fatto di chilometri nuotati ogni giorno, sedute a secco, ritiri, rinunce scolastiche e pressione. Tanta pressione. Lei stessa lo ha detto durante i mondiali, di sentirsi stanca. E ancora prima, in un’intervista in patria, aveva ammesso di aver rischiato di abbandonare il nuoto, esausta tra allenamenti e studio. Parole che avrebbero dovuto far riflettere chi le sta intorno. Ma nulla, l’ingordigia degli adulti hanno sacrificato la bambina sull’altare del risultato. Persone che hanno seri problemi, non solo nello staff ma anche in famiglia a questo punto.

Ecco cosa trovo insopportabile. Che una federazione come quella cinese e, peggio ancora, l’organismo internazionale che dovrebbe tutelare la salute e la crescita degli atleti, abbiano permesso, senza riserve, che una bambina fosse ammessa in un circuito di massima competizione come questo, degli adulti. Perché se è vero che esistono eccezioni biologiche, e Zidi sicuramente lo è, resta il fatto che l’età mentale non segue lo stesso ritmo.

E a dodici anni si è ancora fragili, permeabili, esposti.

E se oggi quel corpo regge e performa, chi ci garantisce che domani quella mente non crolli? Perché le statistiche, quelle vere, ci raccontano un’altra verità, quella triste di tanti piccoli fenomeni che sono stati bruciati presto, schiacciati dal peso di un sogno che non era nemmeno il loro, ma quello degli adulti.

Mi dispiace, ma io non riesco a celebrare questo spettacolo. Non riesco a guardare Zidi senza pensare che stiamo facendo un danno potenzialmente enorme.

Perché il talento dovrebbe essere accompagnato, mai sfruttato.

A dodici anni si è solo bambini.

E il palcoscenico di un Mondiale, per quanto meritato con cronometro alla mano, non è il posto giusto. Il talento non può e non deve giustificare tutto.

La federazione cinese, e ancor più World Aquatics, avrebbero il dovere morale di porre dei limiti.

Di proteggere, non solo di promuovere.

Di considerare l’atleta, certo, ma prima ancora la persona.

E invece qui si è agito con fredda complicità, aprendo le porte a un futuro che potrebbe diventare troppo pesante da sostenere. E se domani, lontano dai riflettori, quella bambina dovesse spezzarsi, chi si prenderà la responsabilità?

Non basta dire “è un fenomeno” per dormire sereni. La verità è che stiamo giocando con qualcosa di molto fragile, e il prezzo potrebbe essere la serenità di una giovanissima atleta che oggi incanta, ma che forse, un giorno, chiederà solo di essere lasciata in pace.

Perché la gloria può attendere.

L’infanzia no.

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