Love Life

Sofia, il coppo e il secchiello

Stamattina a Marina Piccola, come molti giorni d’estate ormai da anni, stavo per entrare in acqua per il mio consueto allenamento, pronto a percorrere quel tratto meraviglioso che gira intorno alla Sella del Diavolo, un luogo che riesce ancora a restituire bellezza e meraviglia. La flora e la fauna marina qui regalano spettacoli quotidiani, incontri con pesci e pescetto, ricci, stelle marine, e ogni tanto anche con qualche timido polpo. Spettacoli che però vengono sempre più spesso interrotti da sacchetti, bottiglie, lattine, nasse, plastica e oggi anche un bel cappellino. Ma oggi non è di questo che voglio parlare.

Oggi voglio raccontare una piccola storia, semplice ma significativa, che ha come protagonista una bambina.

Sofia.

Avrà avuto sette, forse otto anni, capelli scompigliati e lo sguardo di chi ha già mille curiosità per il mondo. È arrivata con i nonni proprio mentre stavo sistemando l’attrezzatura im fondo all’ultima piazzola del parcheggio, quella che si affaccia direttamente su Marina Piccola. Sono scesi da un’auto familiare, di quelle piene di cose, di ombrelloni, borse frigo, giochi da spiaggia, sedie pieghevoli, e naturalmente… il coppo e il secchiello!

Sofia è scesa per prima, sorridente, con quel modo leggero di chi si prepara a una giornata felice. Ma subito dopo è sceso anche il nonno, che con tono seccato, scorbutico, infastidito dalla operazione di trasloco, ha sbottato: “Ma molto ci vuole ancora?!”. Dietro, la nonna era intenta a tirare fuori dal cofano quelle dodici mila cose che in spiaggia servono sempre, mancavano le pentole.

Tra quelle cose, Sofia aveva già recuperato i due oggetti simbolo di ogni infanzia estiva: il coppo e il secchiello.

Per un attimo, vedendola così entusiasta, sono stato tentato di chiederle: “E adesso, che ci farai con quel coppo e con quel secchiello?” Ma non l’ho fatto. Ho esitato. Sono rimasto in silenzio, forse per discrezione, forse perché non sapevo bene come pormi, forse intimorito dal nonno scorbutico, eppure, mentre lei camminava verso la terrazza sul mare, il pensiero ha cominciato a bruciare nella mia testa.

Perché sapevo già cosa sarebbe accaduto, lo vedo ogni estate. Quel coppo finirà per pescare qualche povero paguro, un granchietto, una medusa, magari un piccolo pesce, in questo periodo se ne vedono a migliaia nello specchio d’acqua vicinò sì pontili, piccoli che troppo lenti per scappare. Verranno tirati fuori dall’acqua, messi nel secchiello, punzecchiati con bastoncini trovati nella sabbia, lasciati lì a boccheggiare, magari per ore, sotto il sole, nell’acqua che diventa sempre più calda, fino a quando, dimenticati, moriranno.

E questo succede ogni giorno, in ogni spiaggia. Succede perché i bambini non lo sanno, ma soprattutto, succede perché gli adulti non dicono niente, anzi, spesso sono loro a incoraggiarli, a dire “bravo” quando il bambino riesce a “prendere qualcosa”, a vedere quell’animale come un trofeo, un gioco, un passatempo.

Ma non è un gioco, è vita, è un ecosistema.

È un essere vivente che viene strappato dal suo ambiente, che soffre, che spesso muore tra le mani curiose di un bambino che semplicemente non sa.

E allora lo dico, perché una cosa non detta resta tale e si diventa complici dal momento in cui ci si fa gli “affari propri”, ma non fa per me.

Il coppo non è un giocattolo.

Il secchiello non è un acquario.

I granchi, i paguri, le meduse, i pesci, i ricci e qualunque altro essere vivente popoli il mare ha diritto alla propria esistenza. Ha diritto a vivere nel suo ambiente, senza essere torturato per gioco o per noia o per ignoranza, dell’adulto.

Mi rivolgo dunque a chi accompagna i bambini in spiaggia ai quali dico “non lasciate che il secchiello diventi una trappola di morte”. Insegnate loro a costruire castelli di sabbia, a la plastica anziché i paguri, a osservare gli animali da lontano, con rispetto e meraviglia. Spiegate loro che quegli animali hanno una funzione, un ruolo, una sensibilità. Che non sono “soltanto un granchio” o “soltanto un paguro”. Sono parte di un equilibrio che stiamo già distruggendo abbastanza con le nostre abitudini quotidiane. Sono esseri viventi!

Come dico spesso durante gli incontri che faccio con i bambini, specie ora che abbiamo intrapreso con la Protezione Civile un percorso educativo sulle buone pratiche della balneazione, proviamo a ribaltare i ruoli. Immaginate una medusa gigante che esce dal mare, prende un bambino e lo porta via, lontano, nel blu profondo, oppure lo mette in una bolla d’acqua sotto una roccia, lo osserva, lo punzecchia, lo lascia lì sotto il sole a scaldarsi fino a sera. Impossibile vero? Eppure è esattamente quello che facciamo noi agli abitanti del mare, ogni volta che li trattiamo come giocattoli.

La scena di stamattina mi ha lasciato l’amaro in bocca, ma mi ha anche dato l’occasione per scrivere queste parole. Perché forse, a forza di parlarne, di scriverne, qualcosa può cambiare. Forse qualcuno di voi domani al mare prenderà quel coppo e quel secchiello e racconterà a un bambino che possono essere strumenti per giocare, sì, ma in modo intelligente, rispettoso, curioso senza essere crudeli.

Perché il mare, quello vero, ha bisogno di piccoli gesti quotidiani. E anche di piccole grandi verità raccontate con dolcezza. A partire da Sofia, da quel coppo e da quel secchiello.

Scopri di più da LOVE LIFE

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continua a leggere