Sharenting, dove il confine tra amore e autoaffermazione del genitore diventa sottile.
Nella serata di ieri mi sono imbattuto in una pubblicazione di “io donna” gentilmente segnalata da una persona meravigliosa, e inevitabilmente mi si è riaperto il mondo dei bambini sbattuti in vetrina nei social, fenomeno che ho più volte nella mia vita contrastato.
Questo fenomeno prende un nome preciso nella psicologia contemporanea: si chiama sharenting (da share + parenting), argomento ormai molto studiato da numerosi professionisti proprio perché i suoi effetti si vedranno con maggior chiarezza solo negli anni a venire, quando questi bambini diventeranno adulti con una vita digitale che è iniziata prima ancora che potessero scegliere.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a una crescente esposizione dei figli nei social network da parte dei genitori, spesso in modo continuo, quasi compulsivo. Ogni tappa dell’infanzia, dal primo giorno di scuola alla pagella, dalla partita vinta al saggio di danza, diventa occasione per una foto o un video da pubblicare.
Ma cosa si nasconde dietro questo bisogno di “condividere” ogni momento?
E quali sono le ricadute psicologiche sui figli?
Alla radice, troviamo una serie di dinamiche psicologiche profonde.
Prima di tutto, la proiezione narcisistica: il figlio diventa inconsapevolmente un’estensione dell’Io genitoriale. I suoi successi, la sua bellezza, persino i suoi gesti quotidiani diventano indirettamente una conferma del valore del genitore stesso. Pubblicare le foto del figlio vincente o sorridente equivale, in una certa misura, a dire:
“Guardate quanto sono stato bravo a crescerlo così”.
Il bambino viene così trasformato
in un piccolo “trofeo” sociale.
Accanto a questa spinta individuale, c’è la ricerca di validazione sociale. I social network, costruiti su meccanismi di approvazione istantanea (like, commenti, condivisioni), offrono ai genitori una dose immediata di riconoscimento e apprezzamento. Ogni “cuoricino” ricevuto non conferma solo l’adorabilità del bambino, ma alimenta anche il senso di autostima genitoriale.
Questo circolo vizioso spesso spinge a pubblicare sempre di più.
Non va dimenticato nemmeno il confronto sociale, osservando ciò che fanno gli altri genitori infatti si attiva un meccanismo competitivo sotterraneo. Si teme che il proprio figlio, e quindi indirettamente il proprio ruolo di genitore, appaia “inferiore” se non esposto con uguale entusiasmo. Così nasce una sorta di gara silenziosa a chi racconta il figlio migliore, più talentuoso, più precoce.
Un altro elemento rilevante è il bisogno di appartenenza e di antidoto alla solitudine.
Soprattutto nei primi anni di vita dei figli, i genitori (spesso le madri, ma non solo) possono vivere una fase di isolamento sociale quindi i social diventano allora un luogo dove ritrovare contatti, essere visibili, sentirsi ancora parte di una comunità.
Infine, esiste una componente di idealizzazione dell’infanzia: il desiderio, a tratti romantico, di conservare ogni fase della crescita come se ogni momento fosse speciale e irripetibile. Ma nel farlo, il privato del bambino si trasforma in spettacolo pubblico.
Le conseguenze sui figli.
Questa esposizione costante non è priva di rischi e può avere ricadute psicologiche anche rilevanti:
1️⃣ Formazione dell’identità sotto i riflettori.
I bambini cresciuti sotto la lente pubblica dei social potrebbero sviluppare la percezione che il proprio valore sia legato all’approvazione esterna e all’immagine che gli altri hanno di loro. In alcuni casi, questo può favorire un’eccessiva dipendenza dal giudizio altrui e minare la costruzione di un’identità autentica e autonoma.
2️⃣ Violazione precoce della privacy.
Molti bambini e adolescenti non hanno alcun controllo sulle immagini e sui racconti che li riguardano e che resteranno potenzialmente online per sempre. Questo può generare imbarazzo o disagio in futuro, soprattutto in un’età in cui la ricerca di autonomia diventa prioritaria.
3️⃣ Pressioni implicite a “performare”.
Se ogni traguardo, anche minimo, viene pubblicizzato e celebrato, il bambino potrebbe interiorizzare l’idea che ogni sua azione debba essere “all’altezza” di uno standard esterno di successo e perfezione.
4️⃣ Strumentalizzazione emotiva.
In alcuni casi, il figlio può percepire di essere utilizzato come mezzo per il benessere emotivo dei genitori, cosa che può innescare forme di ansia da prestazione o, al contrario, di rifiuto e opposizione.
In definitiva, quella che nasce come una forma apparentemente innocua di condivisione affettiva rischia di scivolare in una sorta di “vetrinizzazione” della vita familiare, dove il confine tra amore e autoaffermazione del genitore diventa sottile.
È troppo spesso quel confine viene superato, il bambino diventa “un oggetto” che viene utilizzato anche per il business, basti pensare a quanti sono ormai diventati degli influencer sfruttati dalle relative famiglie per un family affair assurdo.