Respect please! Riflessioni amare dai Mondiali di Singapore.
Ieri, ma anche oggi (vedi intervista a Lisa Angiolini dopo le semifinali dei 100 rana), durante i Campionati Mondiali di Nuoto, abbiamo assistito ad più di un episodio che merita attenzione e rispetto, cose che vedo ormai da anni e che ora voglio evidenziare, e lo faccio anche con molta polemica perchè trovo certe mancanze molto poco rispettose!
Nella semifinale dei 100 rana, Nicolò Martinenghi è stato inizialmente squalificato per una presunta gambata a delfino, salvo poi essere riammesso alla finale dopo una revisione video che ha chiarito l’errore, per fortuna che in questo caso i giudici di gara hanno ben compreso di aver preso un granchio e hanno rimediato subito.
Nel frattempo, Ludovico Viberti si è presentato regolarmente all’intervista post-gara per Rai Sport, mentre Nicolò, comprensibilmente scosso e arrabbiato, ha scelto di non fermarsi. Una reazione umana, legittima, che non dovrebbe richiedere nemmeno delle scuse. Eppure, una volta riammesso, Nicolò ha sentito il bisogno di giustificarsi ai microfoni della Rai. Un gesto che parla della sua educazione, ma che evidenzia un problema più profondo: il rispetto per l’emotività degli atleti è spesso ignorato.
Quando una gara va male, l’atleta non è solo deluso: è vulnerabile. Eppure, siccome sempre troppe volte lo abbiamo visto nelle dirette, le interviste sembrano più un interrogatorio che un’occasione di confronto. È giusto pretendere lucidità immediata da chi ha appena vissuto un trauma sportivo? Direi proprio di no! E se l’atleta non è disponibile bisogna rispettarne le scelte, non è dovuto o non dovrebbe esserlo!
Serve più empatia, meno automatismo mediatico.
E non è finita.
Perché qua mi sono sentito parte in causa data la presenza di Marcello Guido.
Prendiamo la staffetta 4×1500 in acque libere: Paltrinieri, Guidi, Taddeucci, Pozzobon. Medaglia d’argento, prestazione corale. Eppure, il tempo dedicato ai microfoni è stato quasi interamente assorbito da Gregorio Paltrinieri. Meritatissimo, certo, il Gregorio nazionale non si tocca, ma senza gli altri tre, quella medaglia non sarebbe mai arrivata nel suo collo. È scorretto che la visibilità venga forzatamente monopolizzata, mentre gli altri protagonisti restano sullo sfondo.
È ora di cambiare narrazione.
Gli atleti non sono solo volti noti o medagliati: sono persone, compagni, protagonisti di storie collettive. Il rispetto non si misura solo in applausi, ma anche nel tempo che gli si dedica, nel modo in cui li si ascolta, nel diritto di vivere le emozioni senza doverle giustificare.
Forse è il momento di ragionarci davvero, perché sennò diventa sciacallaggio emotivo, e tante volte lo si fa ai danni dei ragazzi.