Love Life

L’ossessione degli invisibili: la miseria emotiva travestita da crociata social.

C’è una categoria umana che vive ai margini della considerazione altrui, non per colpa del destino, ma per assoluta inconsistenza personale. Sono quelli che non vengono pensati da nessuno, che non brillano né per intelligenza né per umanità, ombre, sfumature stinte nell’indifferenza collettiva.

Persone che quando si guardano allo specchio persino il loro riflesso si gira dall’altra parte.

Ma nella loro solitudine asfissiante, quella che non è silenzio, ma rumore interno che ti gratta il cervello, escogitano un’uscita di emergenza, colpire chi per qualsivoglia motivo è attenzionato dall’opinione pubblica.

Ed ecco il miracolo del social network! Il palcoscenico perfetto per la vendetta dei dimenticati. Nessun talento? Nessun problema! Bastano un profilo fake, una connessione internet e una preda, di solito sempre la stessa, perché cambiare bersaglio richiede almeno un barlume di creatività.

Così, giorno dopo giorno, scivolano nei commenti come la muffa tra le piastrelle nei bagni delle piscine poco curate, lanciando accuse, insinuazioni, sarcasmi mal costruiti. Non hanno qualcosa da dire, hanno solo bisogno che qualcuno risponda.

Dietro questo teatrino meschino si annidano pseudo-malattie spacciate per attivismo o ironia.

Disturbi di personalità narcisistica camuffati da senso critico, tratti paranoidi trasformati in crociate morali, forme di dipendenza affettiva rovesciata, in cui invece di attaccarsi a qualcuno con affetto, ci si lega con l’odio come unica forma di contatto.

La patologia più diffusa?

La sindrome dell’osservatore frustrato: soggetti che non riescono a partecipare alla vita reale o sociale, e dunque si trasformano in spettatori ossessivi della vita altrui. Spiano, archiviano, interpretano, fantasticano, non per conoscere, ma per colpire. Il profilo fake diventa così non solo una maschera, ma un confessionale al contrario: invece di espiare, riversano il veleno che li tiene in piedi.

Ma la verità è che in fondo non odiano davvero le persone che attaccano, le invidiano visceralmente. Perché quei bersagli esistono, sono pensati, sono amati o odiati, ma visti. E per chi non è abituato a ricevere uno sguardo sincero neanche nello specchio, questo è insopportabile.

Perciò, quando inciampate in uno di questi account pieni di fango e ossessione, non rispondete con rabbia.

Rispondete con pietà.

Non state leggendo un’opinione, state assistendo a una richiesta d’aiuto, mal formulata, vigliacca, tossica, ma pur sempre una richiesta d’aiuto.

E sapete quelle è la cosa più dolorosa?

È che non c’è niente da fare, sono anime perse nei loro selfie fuorvianti pieni di filtri che hanno lo scopo di sembrare una cosa diversa dal mostro che hanno dentro.

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