Il Tifo Nazionale nel Calcio Europeo: Un’Analisi Critica del Contesto Attuale
Tradizionalmente, il successo delle squadre italiane nelle competizioni europee è stato visto nel tempo come un vanto nazionale, con l’idea che ogni vittoria contribuisse al prestigio e alla crescita del calcio italiano. Tuttavia, nel contesto attuale, dominato da club con proprietà straniere e strategie globali, è lecito interrogarsi se questo sentimento sia ancora giustificato. La pratica di tifare “per le italiane in Europa” appare oggi come una consuetudine obsoleta, frutto di un immaginario collettivo scollegato dalla realtà odierna, sportiva ed economica del calcio moderno.
La Globalizzazione del Calcio Italiano
Negli ultimi anni, la Serie A ha visto un aumento significativo di club con proprietà straniere. Nella stagione 2024/2025, 10 delle 20 squadre partecipanti al massimo campionato italiano sono controllate da investitori esteri, principalmente nordamericani:
Club a Proprietà Straniera
1. Atalanta – Stephen Pagliuca (USA)
2. Bologna – Joey Saputo (Canada)
3. Como – Famiglia Hartono (Indonesia)
4. Fiorentina – Rocco Commisso (USA)
5. Genoa – Dan Sucu (ROM) – 777 Partners (USA)
6. Inter – Oaktree Capital Management (USA)
7. Milan – RedBird Capital Partners (USA)
8. Parma – Kyle Krause (USA)
9. Roma – Dan Friedkin (USA)
10. Venezia – Duncan Niederauer (USA)
Club a Proprietà Italiana
1. Cagliari – Tommaso Giulini
2. Empoli – Fabrizio Corsi
3. Juventus – Exor (Famiglia Agnelli-Elkann)
4. Lazio – Claudio Lotito
5. Lecce – Saverio Sticchi Damiani
6. Monza – Fininvest (Famiglia Berlusconi)
7. Napoli – Aurelio De Laurentiis
8. Torino – Urbano Cairo
9. Udinese – Famiglia Pozzo
10. Verona – Maurizio Setti
Questi club operano ormai come vere e proprie multinazionali dello sport, con interessi economici che spesso trascendono il contesto italiano, focalizzandosi su mercati globali e sull’ampliamento del proprio brand internazionale.
Disparità Economiche e Competizione Interna
Il successo europeo porta benefici economici enormi ai club vincenti, sotto forma di premi UEFA, sponsorizzazioni e valorizzazione del brand. Tuttavia, questi vantaggi restano quasi interamente concentrati nelle mani delle grandi squadre, ampliando ulteriormente il divario economico con i club minori. Le squadre di Serie C, ad esempio, registrano una perdita media di 1,9 milioni di euro a stagione e rischiano spesso il fallimento. Questo sistema favorisce l’accumulo di risorse da parte di pochi club, che possono investire pesantemente sul mercato (per la maggior parte estero) e diventano sempre più irraggiungibili, a discapito delle piccole realtà locali.
Il Calo degli Investimenti nel Calciatore Italiano
L’assetto attuale delle multinazionali del calcio ha un’altra conseguenza importante, la sistematica svalutazione del calciatore italiano. La stagione 2024/2025 ha registrato un record storico: su 569 calciatori utilizzati in Serie A, 384 sono stranieri, pari al 67,5%. L’Udinese, pur essendo di proprietà italiana, in questo campionato, in ben sette partite ha schierato undici titolari senza nemmeno un italiano in campo.
Questa tendenza implica:
• Minore spazio per i giovani italiani, che faticano a trovare minutaggio e visibilità.
• Svalutazione del prodotto nazionale, che resta confinato a categorie minori o alle retrovie delle rose.
• Indebolimento della Nazionale, che non può contare su un’adeguata base di giocatori esperti e rodati ad alto livello.
In sintesi, mentre le multinazionali calcistiche italiane si rafforzano con risorse e talenti internazionali, il sistema calcistico nazionale si impoverisce, con ricadute evidenti anche in ottica azzurra.
Un Beneficio Collettivo? Mito da Rivedere!
Si è soliti dire che “se vince una italiana, ne beneficia tutto il calcio italiano”. Ma questo assioma oggi regge sempre meno. Il tanto citato coefficiente UEFA garantisce più posti in Champions, ma questi posti vanno comunque alle stesse grandi squadre, rafforzando un oligopolio sportivo ed economico. Nessuna redistribuzione reale, né in termini di visibilità, né di risorse.
Inoltre, mentre il calcio italiano nel suo complesso contribuisce al PIL nazionale per 11,3 miliardi di euro e genera circa 130.000 posti di lavoro, è evidente che i benefici della globalizzazione calcistica non ricadono in modo equo sull’intero movimento, ma si concentrano nei centri di potere economico sportivo.
In Conclusione
Nel contesto attuale, tifare per le squadre italiane nelle competizioni europee “per il bene del calcio italiano” appare una pratica ideologica e obsoleta. Le grandi squadre italiane non rappresentano più il sistema-calcio nazionale, ma piuttosto interessi societari globali, spesso scollegati dal territorio, dalla comunità e dal talento locale.
Il successo europeo di una squadra italiana, oggi, non è più un patrimonio collettivo, ma un moltiplicatore di ricchezza per poche entità. È tempo, dunque, di mettere in discussione il tifo “nazionale” per le big europee e riflettere su un modello calcistico più equo, che valorizzi davvero il talento italiano e le piccole società, le uniche ancora legate al territorio, alla comunità e alla cultura sportiva autentica.