“È sempre stato così.”
Questa frase, apparentemente innocua, è in realtà uno degli alibi culturali più potenti e pericolosi di sempre!
Nel pensiero sociologico, gli alibi collettivi sono quei meccanismi che una società costruisce per giustificare l’ingiustificabile, per normalizzare ciò che dovrebbe essere messo in discussione.
Funzionano così:
si prende un’abitudine, la si incolla alla storia, e la si fa passare per inevitabile.
Si elude il presente evocando il passato.
Si evita il confronto con la realtà spostando lo sguardo altrove.
Si toglie il peso della responsabilità individuale diluendola nel “così fan tutti”, “così è sempre stato”.
Ma tra le forme più sottili di questo alibi c’è la deviazione del focus.
Parli di una cosa, e immediatamente qualcuno risponde parlando di qualcos’altro.
Spostano l’attenzione, disinnescano il punto, distraggono, non per aggiungere prospettiva, ma per confondere, non per comprendere, ma per evitare.
È un meccanismo antico: cambiare discorso, inserire un “ma anche”, trovare un altro colpevole, un’altra epoca,
un altro contesto.
Zygmunt Bauman (Filosofo e sociologo) scriveva:
“Il conformismo è la via più comoda per evitare la responsabilità.”
E infatti, dietro ogni “è sempre stato così” si nasconde il desiderio di non cambiare, di non assumersi il rischio dell’azione, è un modo per mettere la coscienza in stand-by e rendere l’anomalia norma.
È una forma di deresponsabilizzazione che serve a proteggere l’ordine esistente, anche quando è ingiusto, sbagliato, a volte definibile marcio.
Ma il fatto che qualcosa sia stato, non significa che debba continuare ad essere.
La sociologia insegna che le strutture culturali non sono eterne: sono costruite, e come ogni costruzione, possono essere decostruite, ripensate, trasformate.
Julio Velasco, in una sua famosa lezione sulla mentalità vincente, disse:
“Gli alibi sono la scusa di chi non vuole cambiare. Se dai la colpa agli altri, non puoi migliorare.”
E aveva ragione.
Ogni volta che ci rifugiamo nell’alibi del “si è sempre fatto così”, o che deviamo il discorso per non guardarlo in faccia, stiamo scegliendo la staticità invece del miglioramento.
Ma oggi non basta più.
Non possiamo più permetterci di usare il passato come scudo contro la verità del presente, non possiamo più accettare che gli alibi culturali sostituiscano il pensiero critico.
È tempo di rompere quel riflesso automatico.
Perché il vero cambiamento comincia dove finiscono le scuse.