Come morti viventi
Soffro nel vedere il mondo che ci circonda sgretolarsi nell’indifferenza. Soffro perché la vita sembra aver perso il suo valore più autentico, soffocata da un sistema che ci spinge a guardare senza vedere, a sentire senza ascoltare, a esistere senza vivere davvero, come morti viventi.
L’altro giorno, durante la seduta del consiglio comunale, qualcuno ha detto che non possiamo prenderci tutti i mali del mondo.
Quale espressione più chiara di un ego cieco.
Ma chi decide quali sono i mali che possiamo ignorare? Chi stabilisce quale sofferenza è accettabile e quale no?
Possiamo solo urlare hanno detto, ma non serve farlo. Serve lottare, sennò cosa ci resta?
Un silenzio che alla fine è complice, un adattamento passivo ad una umanità che si spegne piano piano, che si svende per un consenso virtuale, per qualche like cliccato da gente che nemmeno ha letto ciò che è stato scritto, tutto per un’apparenza vuota che non lascia traccia, il nulla umano.
Non ci rendiamo più conto di cosa significhi veramente la parola “vita”.
La scambiamo per un gioco di immagini e notifiche, un flusso continuo di notizie e distrazioni che ci anestetizza, ipnotizzati davanti allo schermo privi di ogni stimolo mentale e morale, non per tutti per fortuna.
E intanto, fuori dagli schermi, la sofferenza è reale. Gente che muore, bambini massacrati, donne stuprate, animali che vengono bruciati vivi, impiccati, ecosistemi distrutti.
Eppure, finché non tocca noi, finché non ci sfiora direttamente, sembra quasi non esistere, è solo nello schermo.
La verità è che ci siamo adattati al peggio.
Ci accontentiamo di sopravvivere, purché siano gli altri a pagare il prezzo più alto, la vita, la distruzione.
Abbiamo dimenticato cosa significhi lottare, cosa significhi sentire il dolore altrui come se fosse il nostro.
E forse è proprio questa la tragedia più grande, non solo il mondo va in pezzi, noi abbiamo imparato a non farci caso, l’importante è mettere il filtro giusto e apparire per ciò che non siamo.